Psicologia e Emozioni

Articoli Psicologia e Emozioni a Frosinone

L’Importanza Psicologica dello Stupore: Come Coltivarlo in Psicoterapia

L’Importanza Psicologica dello Stupore: Come Coltivarlo in PsicoterapiaL’enciclopedia Treccani definisce lo stupore come una “forte sensazione di meraviglia e sorpresa, tale da togliere quasi la capacità di parlare e di agire”. Esso ha a che fare con la curiosità, con il restare a bocca aperta, con l’incanto dovuto al trovarsi davanti a qualcosa di più grande.

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La Rabbia e il Fermarsi

La Rabbia e il FermarsiLa rabbia, insieme alla felicità - alla paura - alla tristezza - al disgusto, è generalmente considerata una delle emozioni di base dell’uomo. E’ un’emozione primaria perché, al pari delle altre già citate emozioni di base, svolge una funzione adattiva: davanti ad una minaccia o ad un pericolo essa facilita l’attivazione di una risposta adeguata che sia capace di fronteggiare la stessa situazione minacciosa/pericolosa che l’ha inizialmente innescata.

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La Psicoterapia Con l’Anziano

La Psicoterapia Con l’AnzianoE’ utile la psicoterapia per la persona anziana?” è una domanda più che legittima che spesso viene rivolta da familiari giovani dell’anziano, e/o dall’anziano stesso, prima dell’inizio di un percorso terapeutico che coinvolge una persona con un’età avanzata. Il dubbio che tale domanda contiene in sé è relativo al fatto che in genere si ritiene che per l’anziano nulla possa cambiare in meglio sia perché le scelte della vita sono già state compiute, sia perché la maggior parte della vita è già trascorsa, sia perché si da per scontato che in ogni caso la mente e il corpo andranno a deteriorarsi.

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La Razionalità e i Suoi Necessari Contrappesi

In linea generale il pensiero economico e sociologico, in particolare dagli studi di Adam Smith pubblicati nel 1776 in “La Ricchezza delle Nazioni”, ha sempre ritenuto la razionalità lo strumento per eccellenza al fine di prendere decisioni efficaci e capaci di garantire un risultato al singolo individuo. Per esempio, l’economia, intesa come scienza, postula che l’homo oeconomicus sia mosso da un intimo principio edonistico che lo porta a cercare di realizzare il massimo risultato con il minimo sforzo.

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L’Alessitimia

L’AlessitimiaIl termine alessitimia, proveniente dal greco alexithymia e traducibile letteralmente con “mancanza di parole per le emozioni”, indica sostanzialmente una certa difficoltà nel riconoscere e verbalizzare le emozioni in sé stessi e negli altri. Tale parola, alessitimia, è entrata nel linguaggio psicologico pochi decenni orsono, più esattamente nel 1976, grazie al lavoro di Peter Sifneos da egli stesso presentato nell’XI Conferenza Europea sulle Ricerche Psicosomatiche.

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Lutti Sospesi

Lutti SospesiNegli ultimi anni, forse sarebbe meglio dire negli ultimi due-tre decenni, la psichiatria e la psicologia si sono trovate a misurarsi sempre più con lutti per così dire „sospesi“. Naturalmente il tema lutto è da sempre presente nella letteratura specialistica in materia, basti semplicemente pensare che già Freud affrontò l’argomento in „Lutto e Melanconia“ nel 1915, o al fatto che ad esso hanno dedicato ampi studi e ricerche studiosi del calibro di Bolwby e Parker. Tuttavia mai come in questo periodo storico in cui la morte pare essersi eclissata dai costumi e riti sociali, trasformandosi così in un qualcosa di intimo e privato, il tema lutto è motivo di consultazione analitica.

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La Mediocrità nell’Età Adulta

In uno dei suoi scritti più noti e conosciuti, “Il Codice dell’Anima”, James Hillman si domanda se può esistere una mediocrità dell’anima. Risponde di no a tale questione, e nel farlo ricorda a tutti noi, a dire il vero anche in maniera piuttosto persuasiva, che i due termini “mediocrità” e “anima” provengono da territori diversi. “Mediocrità” e “mediocre”, scevri dalle connotazioni di giudizio che spesso accompagnano queste due parole, indicano etimologicamente qualcosa che è nella media e ci conducono nell’ambito della statistica sociologica; mentre “anima” è quanto di più singolare e specifico possa esserci in un individuo. Basti anche pensare ai tanti aggettivi che possono accompagnare il termine “anima”: potremmo definirla saggia, vecchia, nobile, ferita, bella, indurita, ingenua, povera, semplice, ma non mediocre o con delle qualità che rimandano alla media. Riprendendo copiosamente il pensiero di Jung e dei classici greci in proposito, Hillman paragona l’anima ad una ghianda: come ogni ghianda da vita ad una quercia diversa, ogni anima viene al mondo con un suo daimon che da luogo ad uno sviluppo individuativo personale e unico. E nella vita, e per estensione in terapia, è sempre necessario confrontarsi con questo corredo con cui si viene al mondo.

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Camminare

CamminareMolti studi antropologici interessati a capire come è stata possibile l’evoluzione cerebrale degli ominidi [1] verso una struttura encefalica più simile a quella dell’homo sapiens, pongono l’accento sul come l’assunzione di una posizione progressivamente eretta abbia giocato un ruolo basilare rispetto a tale evoluzione. Spinti infatti da un significativo cambiamento climatico, circa 5 milioni di anni fa, gli ominidi furono costretti a scendere dagli alberi, sui quali trovavano cibo e riparo, e ad affrontare la vasta savana. La posizione bipede fu una necessità improrogabile perché permetteva spostamenti più ampi, consentiva di vedere, stando per forza di cose più alti, più lontano, e soprattutto liberava gli arti superiori per altre necessità. In altre parole, i nostri antenati camminando impararono a “mappare” mentalmente il territorio, ad esplorarlo, e se a ciò aggiungiamo come la libertà di usare le mani consentisse continue invenzioni di nuovi utensili e armi, intuiamo facilmente come il camminare abbia contribuito in maniera enorme alla storia dell’uomo, perché quest’azione costituisce la necessaria premessa per attività mentali raffinate. Non è eccessivo pensare che se gli ominidi non avessero imparato a camminare, l’uomo così come lo conosciamo oggi non sarebbe mai nato. Senza il camminare l’uomo non solo non avrebbe usato le mani, ma non avrebbe coltivato neanche la possibilità di essere intelligente e riflessivo.

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Malinconia e Melanconia

Con un felice paradosso il celebre scrittore Victor Hugo definì la malinconia “la gioia di sentirsi tristi”. Una gioia difficile da afferrare, legata spesso ad un dolce indugiare nella propria fantasia volto a ricercare non di rado una bellezza, un qualcosa, dai contorni sfumati: un amore che non è mai arrivato realmente, un sogno nel cassetto a cui si guarda con un piacevole mix di desiderio e rassegnazione. A differenza della nostalgia, nella quale si soffre per l’assenza di un passato ben specifico, la malinconia rimane uno stato d’animo di fondo maggiormente indeterminato. Un cuscino morbido, nel quale trovare un certo ristoro. “I migliori momenti dell’amore sono quelli di una quieta e dolce malinconia dove tu piangi e non sai di che , e quasi ti rassegni riposatamente a una sventura e non sai quale”, scrive Giacomo Leopardi  nello Zibaldone  con parole non lontane dal “naufragar m’è dolce in questo mare”  che ritroveremo nella lirica più celebre, L’Infinito, dello stesso Leopardi. Per altri poeti, ad esempio per l’inglese John Milton, precedente al periodo leopardiano, la malinconia assume le sembianze femminili di una Musa, fonte di ispirazioni e visioni profonde. Scrive Milton ne “Il Penseroso”: Salve a te, o dea saggia e santa,/salve, assai divina Malinconia,/ il cui sacro volto troppo risplende/ per esser percepito dall’umana vista;/ perciò nella nostra debole visione/esso si vela di nero, tinta severa della Saggezza”. Un qualcosa di prezioso, di divino addirittura per Milton, che in John Keats (1819) diviene un’aspra dolcezza. (altro…)

L’Importanza di Rappresentare Psicologicamente il Dolore Cronico

L’Importanza di Rappresentare Psicologicamente il Dolore CronicoIl dolore è un qualcosa che intuitivamente conosciamo tutti, e che certamente abbiamo avuto modo di sperimentare in qualche occasione, ma che è meno facilmente definibile rispetto a quanto potrebbe sembrare a prima vista. Perché in esso una componente oggettiva, uno stimolo doloroso, ed una componente percettiva soggettiva, ovvero la personalità della persona coinvolta, inevitabilmente si mischiano e confondono. Queste due componenti presenti nel dolore, la oggettiva e la soggettiva, le ritroviamo negli studi condotti da equipé internazionali che hanno provato a circoscrivere l’esperienza del dolore. Per esempio, nel 1979 l’Associazione Internazionale per lo Studio del Dolore (International Association for the Study of Pain) descrive il dolore come “un’esperienza sensitiva ed emotiva spiacevole, associata ad un effettivo o potenziale danno tissutale o comunque descritta come tale”, e di tale descrizione troviamo un’eco nell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS)  che definisce il dolore come “una sensazione spiacevole e un’esperienza emotiva dotata di un tono affettivo negativo associata a un danno tessutale potenziale o reale e, comunque, descritta in rapporto a tale danno”. (altro…)

La Noia: un Paradosso dei Nostri Giorni

noiaLa noia ha sempre suscitato l’attenzione e l’interesse di filosofi e letterati. Per Oscar Wilde era l’unico peccato per cui non esiste perdono. Per Charles Baudelaire la noia è legata ad un più ampio disagio esistenziale, ad una melanconia di cui la persona annoiata finisce quasi per compiacersi. Secondo Seneca, che più precisamente parla di taedium vitae, la noia nasce dal percepire il dolore nel mondo. (altro…)

Il Lamentarsi

Il lamentarsiComunemente nella lingua italiana il verbo “lamentare” viene utilizzato sia in una forma impersonale, sia in una forma personale. Nel primo caso esprime per lo più un dolore, un rammarico, un rimpianto; nel secondo è di aiuto nel manifestare una delusione personale, una scontentezza, un certo risentimento per qualcosa. Per esempio, in maniera impersonale, si può dire “tutti lamentarono la sua morte”, mentre in maniera personale ci si può lamentare della propria cattiva sorte. Queste possibilità insite nel termine riflettono le sfumature psicologiche del lamentarsi. (altro…)

Essere Invidiati

“La ex del mio attuale compagno piagnucola al telefono ogni volta che parlano delle figlie, continua a dirgli che le bambine soffrono, che sono disagiate, che ha distrutto una famiglia per una…e via con una serie di offese impronunciabili. Con il suo tormento quotidiano sta spegnendo il nostro entusiasmo e ci costringe a vivere in uno stato di cronica tensione. Ogni volta che abbiamo un week end libero chiama perché c’è qualche emergenza da risolvere; per non poi parlare delle continue richieste economiche che sottopone ora per un motivo, ora per un altro… Tutto sommato, non vuole riconquistare l’ex marito, punta solo a destabilizzare la nostra coppia.” E’ solo un piccolo esempio tratto dalla pratica quotidiana, ed ovviamente se ne potrebbero scegliere molti altri, ma ha il pregio di far cogliere con immediatezza come l’essere oggetto di invidia possa far male, ferire, perché tale forma di invidia chiama direttamente in causa l’identità di un’altra persona. Punta a colpire quanto una persona ha, ma soprattutto quello che un individuo é. (altro…)

L’Invidia

invidiaL’invidia può essere definita come uno stato d’animo in cui prevalgono alternativamente il desiderio di possedere ardentemente un qualcosa che qualcun altro ha, e il desiderio di distruggere quanto l’altro ha o rappresenta. (altro…)

Gelosia

gelosiaLa gelosia ha sempre suscitato l’interesse della psicologia e della psicoanalisi. Uno dei primi studiosi sull’argomento è stato Sigmund Freud. In “Alcuni meccanismi nevrotici nella gelosia, paranoia e omosessualità”(1922), egli ha classificato la gelosia in tre diverse tipologie: quella competitiva o normale; quella proiettata; e infine quella delirante. (altro…)

La Vergogna

vergognaLa vergogna è un’emozione decisamente paradossale. Da una parte sembrerebbe essere indicibile o comunque molto privata, “la cenerentola delle emozioni spiacevoli” per usare un’espressione dello psicoanalista Rycroft (1970), da un’altra parte parrebbe essere intrinsecamente legata all’altro, o per essere più precisi allo sguardo dell’altro. Per avere un’idea di quanto la vergogna sia connessa allo sguardo altrui, si pensi per un attimo a quella che con ogni probabilità è la prima esperienza di vergogna che ogni essere umano sperimenta: il momento in cui inizia ad esserci il controllo sfinterico. (altro…)

La Nostalgia

Nostalgia è un termine relativamente recente. Introdotto dall’alsaziano Johannes Hofer nella sua tesi di laurea in medicina del 1688, dal suggestivo titolo Dissertatio medica de nostalgia, si compone delle parole greche nòstos (ritorno) e algia (dolore) e quindi dolore per il ritorno. Ricorrendo ad un termine greco, l’intenzione di Hofer rispondeva ad una tipica esigenza medica del periodo: convogliare un insieme di sintomi sotto un nome per così dire scientificamente neutro, al fine di sottrarre l’oggetto di studio da un ambito più letterario e filosofico. (altro…)

La Solitudine

solitudineDefinire la solitudine non è affatto semplice perché tale parola, “solitudine”, è una sorta di termine ombrello che racchiude in se una vasta gamma di esperienze positive e negative. Può essere fonte di arricchimento e creatività, grazie al contatto con se stessi, come vedremo meglio più avanti, oppure essere fonte di un’esperienza angosciante, per alcuni versi capace di gelare la personalità, per via del progressivo isolamento che produce. (altro…)

L’Importanza del Saper Stare Soli

Nella sua storia, oramai più che centenaria, la psicoanalisi ha sempre posto una certa enfasi sulla necessità di godere di buone relazioni interpersonali ai fini di una solida salute mentale. Per quanto Freud nella sua teorizzazione sottolinei spesso come un buon equilibrio psichico dipenda sostanzialmente da un buon bilanciamento tra le varie istanze intrapsichiche, quali Es-Io-Super Io, o in termini più semplici da un buon rapporto tra principio di piacere, legato al mondo delle pulsioni interne, e principio di realtà, il fatto che egli stesso attribuisca un certo primato alla sessualità genitale, ha aperto la strada a studi psicoanalitici di stampo maggiormente relazionale. Complessivamente, le osservazioni del maestro viennese hanno comportato che ci si chiedesse direttamente in che modo l’ambiente, o meglio le relazioni significative di un individuo, influenzassero lo sviluppo psichico dello stesso, favorendo così di fatto uno spostamento del focus teorico della psicoanalisi da aspetti pulsioni interni all’individuo ad aspetti più relazionali. (altro…)

Il Silenzio

Il silenzioIn maniera piuttosto asciutta diversi dizionari definiscono il silenzio semplicemente come assenza di rumore. Se tuttavia ci si sofferma a riflettere sui vari momenti di silenzio esperiti nelle nostre vite, ognuno di noi ha la possibilità di rievocare immediatamente come esso presenti numerose sfaccettature emotive. (altro…)

La Serenità

Serenità Psicologo FrosinoneLa serenità, questo stato d’animo che si sostanzia di un certo distacco saggio da quanto accade e di una solida pace interiore, compare spesso sulla scena analitica. Viene desiderata per mille ragioni, perché ci può essere troppa sofferenza per un/a partner, per un lutto, per un lavoro che non va, per un’ansia stringente, per una depressione che non cede il passo ad altro, per le traversie in genere che riserva la vita, e via dicendo. La serenità appare come un desiderio agognato che talvolta assume, soprattutto quando la sua assenza è duratura nel tempo, le sembianze di un bisogno psicologico non più rimandabile. (altro…)

L’avarizia

La Chiesa cattolica ha sempre ritenuto l’avarizia un vizio capitale, non a caso i vari ordini monastici ne hanno di volta in volta evidenziato caratteristiche capaci di incidere negativamente sull’umanesimo presente nell’uomo. Per esempio, secondo i benedettini l’avarizia non predispone l’animo verso la carità, per i francescani impedisce la realizzazione del bene comune, oppure da San Paolo viene considerata “il peccato dei peccati”. Ma il passaggio ecclesiastico che, probabilmente, più di ogni altro coglie una qualità essenziale dell’avarizia è contenuto nel vangelo di Matteo (6, 24) allorquando viene detto: “Nessuno può servire due padroni, perché o odierà l’uno e amerà l’altro, oppure si affezionerà all’uno e disprezzerà l’altro. Non potete servire Dio e la ricchezza.”. (altro…)

Paura e Coraggio

paura-coraggioLa paura può essere definita come un’intensa emozione generata dalla percezione soggettiva di un pericolo. E’ così universalmente diffusa da essere rintracciabile, non solo nell’uomo, ma anche in numerosi animali. La paura è un’emozione governata prevalentemente dall’istinto, ed ha come fine ultimo il proteggere l’esistenza fisica e psicologica dell’individuo. (altro…)

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