La Serenità

Serenità Psicologo FrosinoneLa serenità, questo stato d’animo che si sostanzia di un certo distacco saggio da quanto accade e di una solida pace interiore, compare spesso sulla scena analitica. Viene desiderata per mille ragioni, perché ci può essere troppa sofferenza per un/a partner, per un lutto, per un lavoro che non va, per un’ansia stringente, per una depressione che non cede il passo ad altro, per le traversie in genere che riserva la vita, e via dicendo. La serenità appare come un desiderio agognato che talvolta assume, soprattutto quando la sua assenza è duratura nel tempo, le sembianze di un bisogno psicologico non più rimandabile.

Tante nostre azioni legate al raggiungimento di un benessere possono essere mosse sullo sfondo dalla ricerca di serenità. Passeggiare in montagna, coltivare un rapporto con l’arte e la bellezza in genere, immergersi nella lettura, dedicarsi a tecniche di respirazione e corporee, costituiscono in un certo senso una testimonianza del bisogno di serenità. Tutte attività che aiutano nell’avvicinarsi a questo stato d’animo che chiamiamo serenità, sia perché favoriscono una relazione migliore con il tempo in quanto meno vincolato all’esigenze del qui e ora sia perché insegnano a “stare” dentro le esperienze, che tuttavia rimane un qualcosa di non del tutto afferrabile. Per il semplice fatto che la serenità è una metà difficile da raggiungere, anche perché essa è più necessaria quanto più il momento che si vive è complicato. E nei momenti più critici, da un punto di vista psicologico, è fisiologico che si attivino quei nodi personali, i complessi potremmo dire, più difficili per la persona. E a tal proposito la psicoterapia può cercare di fornire il suo umile contributo rispetto al cercare di essere più sereni.

L’elaborazione dei propri punti complessuali richiede un confronto con la propria storia e con se stessi. Confronto che generalmente produce, tra i vari risultati complessivi, un approccio mentale diverso alle proprie difficoltà. In ambito junghiano tale confronto con se stessi non può prescindere dal lavoro con i sogni. Il sogno non è un fenomeno isolato dal resto della vita, bensì è una sorta di specchio che aiuta nell’elaborazione di quanto accade. Un piccolo esempio tratto dalla clinica: una giovane professionista, da poco sposata, tende tuttavia a vivere la vita di coppia come un freno ad alcune possibilità di carriera. La notte sogna una sua conoscente, molto ambiziosa, che la uccide. Come se il sogno volesse rimarcare che a “ucciderla” potrebbe essere l’eccesso di ambizione, e non necessariamente la coppia come tende a pensare ad un livello più cosciente. Un sogno del genere aiuta la sognatrice ad ampliare il suo punto di vista, stimolandola a considerare o a riconsiderare la propria posizione in favore di un maggiore equilibrio tra vita individuale e vita di coppia. Nel caso specifico, un “e-e” al posto di un “o-o”. Non a caso la Von Franz scrive: “I sogni non sono in grado di preservarci da vicissitudini esistenziali, dalle malattie e dagli eventi tristi. Ci offrono invece una linea di condotta sul come rapportarci a questi eventi, sul come dare un senso alla nostra esistenza, sul come realizzare il nostro destino.” Linea di condotta, o assetto mentale diremmo noi,  che come corollario presenta la consapevolezza che la serenità non può essere legata alla completa assenza di difficoltà, bensì alla loro risoluzione. Consapevolezza che nella modernità, come mostrano alcuni studi antropologici contemporanei, pare vagamente scomparsa. L’archeologo Bill Schindeler e l’antropologa Cat Bigney nel 2016 hanno realizzato il singolare esperimento di vivere lontano da qualsiasi insediamento umano, dove era necessario riuscire a procurarsi cibo e acqua, accendere il fuoco, trovare un riparo sicuro in completa solitudine. Scopo dell’esperimento non era solo riuscire a sopravvivere, bensì il cercare di capire come l’uomo “primitivo” si avvicinasse alle sue difficoltà quotidiane al fine di poter apprendere qualcosa di utile e prezioso dalla forma mentis del passato e in virtù di ciò tentare di applicarla anche ai problemi odierni. I due studiosi concludono che la mentalità primitiva ha da insegnare a noi contemporanei un diverso rapporto con la natura.

Carl Gustav Jung, scoprendo e avendo dedicato particolare attenzione al substrato psichico dell’inconscio collettivo, si è certamente mosso in tale direzione. Infatti, questo grande maestro del pensiero psicologico, ha notato come esso sia “un deposito di tutte le esperienze umane fino ai più oscuri primordi, non un deposito morto né un isolato campo di ruderi, ma un sistema vivo e pronto a reagire, che per vie invisibili e appunto perciò attivissime regola la vita individuale” (Carl Gustav Jung, 1927-1931, pag. 175). In un certo senso la natura dentro l’uomo, perché gli archetipi dell’inconscio collettivo, afferma ancora lo stesso Jung, “non sono altro che le forme di manifestazione degli istinti” (ibidem, pag. 175). Naturalmente i sogni sono la via regia per la manifestazione delle immagini archetipiche nella vita del singolo, ed il confronto con i sogni in senso lato implica il riconnettersi a sorgenti naturali presenti nell’uomo che, paradossalmente, hanno come fine il favorire la differenziazione individuale della coscienza proprio a partire da una base collettiva. Si pensi, a mò di esempio, per un attimo ad alcuni motivi tipici che si osservano spesso nei sogni, come l’acqua o la presenza di una figura animale. L’acqua può essere legata al nascere, al fluire, e si può ipotizzare che in qualche modo tale immagine deve essere in relazione con la situazione del singolo sognatore. Rispetto a chi o a che cosa bisognerebbe essere più fluidi, o cosa, o quale parte di sé, dovrebbe nascere, ci si potrebbe, per esempio, chiedere in terapia. Idem per una figura animale. Potrebbe comparire un cinghiale, animale sacro ad Ares, dio della guerra nella mitologia romana, nei sogni di una persona bloccata e forse troppo rinunciataria nei confronti di una qualche situazione specifica. Come se il sogno cercasse di segnalare la necessità di qualche spinta coraggiosa e testarda. In tal senso, dicevamo prima, uno strato collettivo della psiche aiuta il singolo nel trovare la sua strada. Per questo Jung, parlando di nevrosi, scrive: “Il terapeuta può soltanto osservare e cercar di capire i tentativi di ristabilimento e di guarigione intrapresi dalla natura. L’esperienza ha dimostrato da tempo che tra la coscienza e l’inconscio esiste un rapporto di compensazione e che l’inconscio tenta sempre di integrare la parte cosciente della psiche mediante l’aggiunta di quel che manca alla totalità, alla pienezza, prevenendo così pericolosi squilibri” (Carl Gustav Jung, 1951, pag. 134). Ed è proprio una costante attenzione verso questo “rapporto di compensazione”, che cerca di favorire una pienezza della vita, che può fornire una solida serenità psichica anche nei momenti in cui ci si trova nel bel mezzo di qualche tempesta.

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