La Solitudine

solitudineDefinire la solitudine non è affatto semplice perché tale parola, “solitudine”, è una sorta di termine ombrello che racchiude in se una vasta gamma di esperienze positive e negative. Può essere fonte di arricchimento e creatività, grazie al contatto con se stessi, come vedremo meglio più avanti, oppure essere fonte di un’esperienza angosciante, per alcuni versi capace di gelare la personalità, per via del progressivo isolamento che produce. Sarebbe più opportuno parlare di solitudini al plurale e non di solitudine. In senso positivo, per esempio, esiste la solitudine del creativo che in essa cerca e trae ispirazione; quella della persona spirituale che nel periodo di solitudine cerca l’incontro con il trascendente; la solitudine della persona introspettiva che sente fortemente l’esigenza di rimanere in contatto con i propri e pensieri e le proprie emozioni, ed in virtù di ciò ha bisogno di una silenziosa pace. In senso negativo, esiste la solitudine della persona psicotica il cui mondo assume un significato personale, assolutamente non condivisibile con gli altri; la solitudine dell’anziano che sprofonda in un senso di inutilità; la solitudine di chi è in lutto per il coniuge, con il quale aveva co-costruito un mondo; la solitudine di che si percepisce diverso. Non a caso alcune lingue, tipo l’inglese, utilizzano diversi termini per definire meglio l’esperienza dell’essere soli: aloneness indica l’essere fisicamente soli; loneliness il sentirsi emotivamente soli; mentre solitude si riferisce ad un sentimento positivo di separazione, indice anche di una certa maturità psichica.

Nonostante questa maggiore precisione semantica dell’inglese nel definire la solitudine, ciò appare comunque insufficiente a cogliere l’ampiezza di tale vissuto. L’elenco sopra accennato, infatti, potrebbe per esempio continuare a dismisura, al punto che un autore esperto del tema, quale Castellazzi, si spinge a scrivere che ci sono tante forme di “solitudine quanti sono gli stili di vita” (Castellazzi, 2013, pag. 13).

Va comunque detto che al giorno d’oggi sono molto più frequenti le occasioni in cui la solitudine è vissuta negativamente, piuttosto che quelle in cui essa assume delle valenze positive e benefiche. Ciò è forse dovuto alla nostra struttura sociale: siamo abituati ad una miriade di stimoli, informazioni, ad un contatto continuo, tutte caratteristiche che finiscono con il far apparire la solitudine come perturbante. Del resto, come già nei secoli passati ammoniva Montaigne, per rendere la solitudine un momento fecondo bisogna essere preparati nel riceversi (Montaigne 1580). In questo breve articolo cercheremo di focalizzarci sul versante negativo della solitudine, per vedere se esiste la possibilità di rendere una fase della vita vissuta come difficile un’occasione di crescita psichica. Commentando i sogni di alcune donne, Marie-Louise Von Franz, ne “Il Mondo dei sogni” afferma che la solitudine di alcune di esse è legata alla mancanza di calore verso se stesse. Tale ipotesi, la mancanza di calore verso se stessi, può a nostro avviso essere generalizzata ad altre forme di solitudine. Tale mancanza di calore verso se stessi si osserva, per esempio, dal fatto che la persona che tende a vivere negativamente la solitudine non considera che anche quando si è soli non si è mai veramente soli: si è sempre in compagnia dei propri prodotti psichici. In primis il sogno. Secondo Carl Gustav Jung, il sogno può essere visto come quel teatro psichico interno dove ogni personaggio, figura, paesaggio, cela qualche aspetto della personalità del sognatore stesso. Detto in altre parole, nei momenti di solitudine si è insieme alle proprie  parti, alcune in nuce ed altre maggiormente legate al passato. Il cercare di analizzare i sogni costituisce quindi un ottimo antidoto alla solitudine, perché permette di sviluppare l’arte del dialogo interiore, elemento, quest’ultimo, capace di trasformare la solitudine da vissuto penoso e doloroso in  un momento di profonda riflessione. Va ben specificato che tale dialogo interiore con le proprie figure interne non è un semplice pour parler, ma qualcosa che richiede impegno, pazienza e costanza rispetto al cercare un’integrazione psichica dei contenuti emergenti. Cosa vuol dire integrare? Sempre Carl Gustav Jung insiste sul fatto che per integrare un contenuto psicologico è necessario rapportarsi ad esso, non solo da una prospettiva intellettuale, ma anche da un punto di vista affettivo. In “Aion” scrive: “Un contenuto può essere integrato soltanto quando il suo duplice aspetto è divenuto cosciente, e quando è afferrato non solo intellettualmente, ma compreso secondo il suo valore affettivo” (Jung, ed. ita. 1982, pag. 30).Ciò vuol dire che la coscienza dell’Io deve cercare di cogliere il valore, le implicazioni, la portata effettiva, anche sulla vita esterna, di quel contenuto. E’ in sostanza un trattare l’Altro dentro di sé, come un veramente Altro con il quale confrontarsi. Ciò permette di depotenziare gli aspetti negativi della solitudine, perché è come se la persona si dedicasse ad un serio tentativo di stare in contatto con se stessa capace di porre le basi, usando le parole di Eugenio Borgna,  per rendere il momento di solitudine la “precondizione di ogni pensiero critico e di ogni attività creativa.”

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