I Padri Contemporanei

Secondo Pietropolli Charmet (2001), i padri attuali svolgono un ruolo molto più affettivo che normativo rispetto ai padri delle precedenti generazioni. In termini più concreti, secondo questo autore, i padri attuali si occupano più della felicità del figlio, attraverso l’aiuto nel soddisfare i bisogni di quest’ultimo, piuttosto che del trasmettere regole e valori; considera cioè, volendo utilizzare le parole dell’autore, i padri contemporanei più “naturali” che “culturali”.  Un padre naturale, per Pietropolli Charmet (2001), oltre ad essere una figura paterna più affettiva, aperta allo scambio e alla relazione rispetto al padre normativo, si caratterizza per il tentativo di adeguarsi ai ritmi di crescita del figlio e per la capacità di promuoverne le inclinazioni specifiche.
L’aspetto più eclatante, osserva Pietropolli Charmet (1995), in cui si può notare questa trasformazione nel modo di interpretare il ruolo paterno è costituito dal fatto che i padri contemporanei partecipano attivamente alla cura primaria del bambino. In proposito Giorgio Cavallari (2001), confermando la maggiore naturalità dei padri moderni osservata da Pietropolii Charmet, rileva come la figura paterna, cimentandosi nel parenting, si trovi a vivere un’esperienza non verbale e corporea con il figlio, che di fatto lo conduce ad esperire una relazione più basata sul sentire che sul fare, la quale permette un arricchimento sia della propria vita emotiva, sia di quella del bambino. Per cogliere come un padre affettivo può contribuire all’ampliamento della vita emotiva del figlio è utile gettare uno sguardo su quegli studi relativi all’attaccamento padre-bambino. Per esempio J. Lichtenberg (1989), riepilogando numerose ricerche sull’attaccamento nel suo “Psicoanalisi e sistemi motivazionali”, mette in risalto come un padre, impegnandosi attivamente nel parenting, riesce a far sperimentare al figlio un piacere dell’intimità diverso rispetto a quello che solitamente prova con la madre. Questa diversa intimità che il bambino prova con il padre, per Lichtenberg (1989), lo rende maggiormente empatico e più competente nelle varie situazioni relazionali.
Tuttavia, se da un lato un padre affettivo può contribuire ad arricchire la vita emotiva del figlio e nella migliore delle ipotesi a promuoverne le sue caratteristiche peculiari, dall’altro lato, come da più autori segnalato (Risè 2003; Zoja 2001; Argentieri 1999), il maggiore rischio che corre è quello di essere una sorta di seconda mamma, che non svolge più né il ruolo di elemento terzo rispetto alla diade madre-bambino, né costituisce un elemento di confronto per il più ampio processo di individuazione del figlio.
Questo rischio di un’eccessiva maternizzazione paterna, secondo Cavallari (2001), è legato a due fattori tra loro interagenti: uno più sociologico ed uno più psicologico. Da un punto di vista sociologico, secondo Cavallari (2001), le trasformazioni avvenute negli ultimi decenni hanno reso la nostra società post-patriarcale. Per Cavallari la società post- patriarcale si contraddistingue per una maggiore interscambiabilità tra ruoli maschili e femminili, e per una minore distinzione tra ruolo paterno e materno rispetto a quanto avveniva nella società patriarcale, la quale prevedeva un rigido steccato tra registro paterno e registro materno: “Se a quest’ultimo era delegata la sfera delle cure primarie, della nutrizione, della protezione, la dimensione paterna poteva, senza porsi troppe domande, occupare a pieno titolo il proprio ruolo di guida, di introduzione dei figli alle regole, ai compiti, ai valori dell’ordine sociale. L’organizzazione collettiva assegnava nelle famiglie al padre un ruolo di guida, al di là delle caratteristiche dei singoli individui.”  (Cavallari, 2001, pag. 180). Questi cambiamenti sociali, per Cavallari (2001), hanno consentito di superare la limitante stabilità della società patriarcale, ma hanno reso il ruolo del padre più problematico perché, essendo quest’ultimo meno condizionato da schemi a priori della collettività, hanno trasformato ogni paternità in una responsabilità individuale del singolo padre. L’aspetto positivo in ciò, nota Cavallari, è rappresentato dal fatto che nella società post-patriarcale la paternità è quindi potenzialmente più libera e articolabile, lasciando uno spazio maggiore alla creatività di ogni singolo padre, mentre l’aspetto negativo di una minore standardizzazione del ruolo paterno è legato al fatto che per molti padri, questa maggiore libertà d’azione, si rivela disorientante. Per Cavallari (2001) molti padri post-patriarcali si trovano in questa condizione disorientante perché, da una parte si sentono impossibilitati a tornare ad un’interpretazione patriarcale della paternità, ma dall’altra non riescono a reggere il confronto con il figlio basandosi su una maniera più individuale di vivere la paternità, finendo con il nascondersi dietro il ruolo materno.
Da un punto di vista psicologico, secondo Cavallari (2001), un padre contemporaneo, dinanzi a questo relativamente nuovo assetto della società, per evitare di essere un genitore di serie B deve affrontare due tratti psicologici che possono essere più o meno presenti in tutti coloro che si trovano ad esercitare un ruolo paterno: un nucleo di dipendenza attivato da una situazione psicologica disorientante, come può essere la paternità attuale; una difficoltà nel riuscire a svolgere il ruolo paterno in modo pluridimensionale.
In relazione al primo tratto citato, Cavallari (2001), evidenzia come un padre in difficoltà nell’esercitare il suo ruolo, vista la mancanza di riferimenti collettivi condivisi e riconosciuti, può regredire ad una dipendenza dal materno. Infatti, per Cavallari molti uomini sposati non si sono mai del tutto separati psicologicamente dalla propria madre, ma hanno risolto questa situazione psichica proiettando questo nucleo di dipendenza sulla propria compagna. Questo back-ground psicologico fa si che il padre non si assumi le sue responsabilità e che finisca con il deresponsabilizzarsi interpretando il suo ruolo soltanto come un supporto materiale alla compagna.
In relazione al secondo tratto psicologico, Cavallari (2001) sottolinea come per un padre, anche nel caso in cui abbia risolto tutti i suoi nuclei di dipendenza, non sia facile provare a coniugare varie dimensioni psichiche, quali possono essere l’empatia e l’autorevolezza, l’affetto e il saper porre dei limiti e delle regole, che un figlio attualmente sembrerebbe richiedere ed aspettarsi da suo padre. Mentre il padre patriarcale infatti doveva solo garantire l’introiezione dei valori e delle regole sociali, il padre post-patriarcale, osserva Cavallari (2001), se limita la sua funzione paterna solo a questo compito non viene “riconosciuto” dal figlio. Sostanzialmente per Cavallari (2001) il padre post-patriarcale dovrebbe essere capace di tenere insieme l’eredità migliore del patriarcato, con i suoi aspetti di determinazione, coraggio, fecondità, senza staccarla dagli aspetti più naturali, terreni e femminili dell’esistenza, se vuole realmente incidere sulla vita del figlio.
Questa necessita da parte del padre post-patriarcale di integrare diverse dimensioni psichiche dentro di sé è considerata fondamentale anche da Andrew Samuels (1985). L’autore inglese fa notare come, con la progressiva presa di coscienza delle prevaricazioni del padre patriarcale, la figura del patriarca è finita nell’Ombra collettiva degli uomini, ma in molti padri non pare che ci sia stata una reale capacità di adeguare il loro ruolo alle evoluzioni della coscienza: “Agli analisti comincia a presentarsi un nuovo tipo di uomo, si tratta di un padre attento e premuroso…Solo che non è felice, anzi ci sono ottime probabilità che la sua condizione sia molto sfortunata, a meno che il mondo non si adatti a lui o che lui non riesca a darsi seriamente da fare per integrare le sue trasformazioni di ruolo e di comportamento a un livello di vera profondità psicologica. In caso contrario, quest’uomo, a causa di un cambiamento di coscienza fondamentalmente positivo e fruttuoso, sarà costretto a restare un figlio di mamma.”  (Samuels, 1985, pag. 7).
Un padre attuale, secondo Samuels (1985), per riuscire ad integrare la figura del patriarca deve trovare “la distanza ottimale” dall’oggetto umanizzato che meglio lo rappresenta: il padre interno, il quale “simboleggia la relazione dell’individuo con l’autorità ed anche la capacità di essere autoritario.” (Samuels, 1985, pag. 31). Secondo Samuels (1985) è fondamentale che un padre contemporaneo riesca a trovare la giusta distanza dal padre interno perché, se la distanza dall’oggetto interno è troppo breve il padre si manifesterà molto rigido moralmente, autoritario e con pensieri ossessivi nel rapporto con il figlio, se invece la distanza è eccessiva mancheranno quei confini e quelle regole necessarie per la crescita. Da quanto detto sino adesso possiamo concludere dicendo che il nuovo padre affettivo può costituire un’occasione di crescita emotiva e relazionale per il figlio, se non rinuncia al suo fare da terzo tra la coppia madre-bambino e a rappresentare un elemento di confronto, tramite la sua individualità, per il figlio. Per riuscire in ciò, sembrerebbe basilare che questi nuovi padri abbiano la capacità, parafrasando quanto ebbe modo di dire una volta Jung quando gli fu chiesto cosa pensasse del rischio di una terza guerra mondiale, questa volta atomica, di “reggere la tensione fra gli opposti in se stessi” (Hannan, 1981, pag. 8), in questo caso rappresentati da aspetti femminili e maschili, che i padri attuali non possono permettersi di tenere scissi.

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