Cocaina, Dolore Esistenziale, Psicoterapia

Cocaina, Dolore Esistenziale, PsicoterapiaAristotele sosteneva che i numeri non ci dicono cosa sia la realtà, ma ci permettono di interpretarla. Per la maggior parte dei fenomeni che si studiano e si osservano pare essere esattamente così, la cocaina invece – da questo punto di vista – costituisce un’eccezione. Stando ai numeri ufficiali, il consumo di questa sostanza sarebbe estremamente basso – in Italia un abitante su mille secondo il Dipartimento delle Politiche Antidroga – e al limite dell’irrilevante; tuttavia, purtroppo, questo dato stride con le continue richieste di psicoterapia per uso di cocaina che giungono ai professionisti del settore psy. Se fosse realmente lo 0,1% della popolazione ad usare cocaina, non dovrebbero infatti sostanzialmente esserci richieste di aiuto in tale ambito, di fatto non è così: la richiesta è continua e in crescita.

Ad arrivare a studio è soprattutto il consumatore occasionale che ha, negli ultimi periodi, tuttavia la sensazione di cominciare a perdere il “controllo” del suo ricorso a tale droga. Un consumatore che si rende conto di come da saltuario, da una volta al mese e/o da “speciali” occasioni festive, si stia tramutando in una persona quasi ossessionata dal voler sniffare cocaina, anche quando effettivamente poi non lo fa. E ciò la spaventa terribilmente, perché percepisce che la sua vita può franare quasi di colpo. Dice a sé stessa che un uso smodato può mettere a rischio relazioni sentimentali a cui tiene, la posizione lavorativa che ha raggiunto, e via dicendo, ma non sa come uscirne. Da qui la comprensibile richiesta di aiuto.

Tale richiesta di aiuto viene in genere posta in una maniera che potremmo aggettivare come “razionale”, nel senso che la persona chiede una mano perché razionalmente teme di perdere la sua vita; allo stesso tempo viene accompagnata da una presentazione di sé dalla quale si può dedurre che è come se non vi fosse psicologicamente bisogno di alcun aiuto. “Io sono un tipo normale, sto bene con tutti, mi piace divertirmi, tutto qui. Mi piace la mia vita, il mio lavoro, la mia compagna, i miei genitori sono persone tranquille, normali. Va tutto bene, ho solo questo vizio della cocaina”, sono parole riassuntive e sintetiche, e che si sentono spesso, che aiutano nel capire come il consumatore di cocaina tenda in genere a percepirsi come una persona che non ha nessuna difficoltà esistenziale. Ha solo un brutto vizio, una cattiva abitudine, non una dipendenza o un problema che potrebbe nasconderne altri.

Su tale paradossale richiesta di aiuto vale la pena soffermarsi a riflettere in ambito terapeutico, poiché – come vedremo meglio a breve – nasconde un’insidia per la buona riuscita del lavoro psicologico insieme. In genere, per esempio, fa sì che non ci siano parole nette di condanna per l’uso di cocaina, ovviamente non perché la persona sia carente di parole, bensì perché la sostanza è vissuta come dannosa solo per mezzo della ragione, mentre da un punto di vista più emotivo è vissuta come una ego-sintonica fonte di piacere. Generalmente, parlando, e con il trascorrere del tempo, la persona interessata riconosce questa contraddizione in seno alla sua personalità: il più delle volte si ascolta una onesta e liberatoria osservazione relativa al come non ci sia totalmente il desiderio di voler eliminare del tutto il ricorso alla cocaina, quanto più che altro quello di volerne controllare e gestire l’uso, un pochino come accadeva nelle prime occasioni in cui è stata consumata. Riconoscere tutto ciò, questa ambivalenza di fondo verso l’utilizzo della sostanza, è un toccasana per il processo terapeutico, anzi ne costituisce una premessa, poiché senza il suo essenziale riconoscimento inevitabilmente il lavoro terapeutico finirà con l’arenarsi come un treno su un binario morto.

Vedere questa ambivalenza di fondo permette di iniziare e continuare il lavoro, perché vederla nelle sue implicazioni significa cercare di mettersi completamente in gioco: ovvero rinunciare del tutto alla fantasia di poter gestire e controllare l’uso della sostanza. Senza rinunciare infatti in toto a questa fantasia presente sullo sfondo psichico, sbucherà fuori di tanto in tanto l’idea che una tiratina saltuaria di cocaina non sia poi questo gran problema. E nei momenti più difficili, questa idea che non sia una gran male usare cocaina una tantum, spesso riesce a “sedurre” la persona interessata con esiti negativi sul lavoro psicologico che si sta portando avanti. Per questo è così importante notare nitidamente e ad alta voce le proprie riserve: almeno così la persona è quantomeno nella condizione di poter scegliere più consapevolmente se provare o meno a lasciarsi definitivamente alle spalle la cocaina. Piccolo inciso su questo punto: qualunque decisione verrà presa dalla persona interessata merita rispetto, poiché – rilevata la propria riserva mentale sulla sostanza – è come se ella dovesse sentirsi pronta per un altro pezzo di strada, e non è detto che in quello specifico momento della sua vita se la senta di affrontarlo. Talvolta capita che la persona avverta la necessità di fermarsi dal lavoro psicologico che sta facendo, come se dovesse tirare un po’ il fiato, per poi magari ripartire dopo una sosta. E’ un qualcosa di umanamente comprensibile, che può anche starci e che per questo merita un profondo rispetto.

Anche perché il resto del percorso terapeutico non sarà così facile, tutto sommato mettersi del tutto in gioco con la cocaina non è poi così piacevole. Perché astenersi dall’uso, fare il massimo sforzo possibile per non ricorrervi, anche quando il desiderio si manifesta con intensità, è un qualcosa di faticoso e doloroso. E’ un astenersi diverso rispetto a quando è presente un astenersi tuttavia mai disgiunto dal retropensiero di fondo che un uso saltuario – ogni 1 o 2 mesi – si può anche fare: c’è un salto qualitativo dove viene a mancare un pensiero, quello che si può usare di tanto in tanto la sostanza, paradossalmente consolante. E il peso psicologico dell’astinenza, senza questo retropensiero consolatorio, in tal caso si fa sentire tutto. Per fortuna, e questo merita di essere sottolineato, tanta fatica può valerne la pena, perché mentre la si attraversa si ha la possibilità di riscoprire sé stessi.

In genere, solitamente, senza droga la persona fa esperienza del fatto di scoprirsi nervosa, irrequieta, agitata, triste, dubbiosa, umorale, ansiosa, tutti stati d’animo che quasi non conosce affatto, non perché prima non vi fossero, quanto più che altro perché erano come silenziati dalla cocaina. Come se quest’ultima rendesse “forti”, quasi robotici e privati di ogni stato d’animo umano. Questa sensazione di invulnerabilità – stando ai racconti dei pazienti – è quanto rende tanto affascinante la cocaina per molti suoi consumatori. Ma se fossimo invulnerabili non saremmo umani, saremmo qualcos’altro, ma considerato che siamo umani tale fantasia di invulnerabilità è inevitabilmente destinata a generare cadute. Non di rado, quindi, durante il percorso terapeutico la persona esperisce un ritrovare alcuni frammenti di umanità perduta e diviene così consapevole della circostanza che la cocaina agiva, e potenzialmente agisce tutt’ora, come una difesa contro angosce ed emozioni vissute come schiaccianti e indigeste per il suo sistema psichico. In altre parole, scopre che la cocaina era un sistema di cura, evidentemente errato, contro il suo dolore psicologico. Un sistema di difesa messo in moto, per lo più inconsapevolmente, per tutelarsi da deprivazioni familiari, ingiustizie, adultizzazioni precoci, solitudine, separazioni traumatiche, lutti, tutti eventi non tollerabili per quella specifica persona, la quale adesso si trova “costretta” a stare ferma per fare i conti con tutto quanto era ed è stato rimosso per mezzo della cocaina. Perché è solo stando fermi che la coppia terapeutica riesce a dare il tempo alla psiche della persona sia di digerire tutte le difficili vicende esistenziali che ella ha vissuto, sia la possibilità di trovare nuovi e più costruttivi modi per relazionarsi a tutto ciò. E qui ogni persona trova il suo personale modo per affrontare diversamente la sua storia e la sua vita.

Si tratta di strade soggettive non facili, ognuna diversa dall’altra, ma che hanno in comune l’enorme pregio di rendere liberi dalla sostanza, dal dolore esistenziale che ne ha preceduto l’uso, e soprattutto dal non poter ammettere a sé stessi che siamo esseri umani che, oltre che gioire, possono anche soffrire.

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