Il Simbolo nella Concezione di Carl Gustav Jung

il-simbolo-in-jungCarl Gustav Jung è stato lo psicoanalista che più di ogni altro si è occupato di simboli nella storia della psicologia del profondo. A tal proposito basta ricordare che nella sua decennale carriera ha analizzato più di ottantamila sogni, si è dedicato alle mitologie, alle religioni e all’alchimia.Quando Jung espone la sua concezione del simbolo ci tiene a rimarcare il fatto che tendenzialmente in psicoanalisi il simbolo viene trattato al pari di un segno semeiotico che esprime un qualcosa di già noto a chi osserva una determinata immagine, mentre per Jung il simbolo è portatore di un contenuto che non riesce ad essere espresso in altro modo.
Secondo l’ottica junghiana se affermiamo, per fare un esempio, che il leone è il simbolo di San Marco si sta usando il termine simbolo in maniera inappropriata in quanto si sta semplicemente usando il leone per indicare convenzionalmente San Marco, mentre il leone può essere un simbolo di San Marco se si prova a cogliere quale è la relazione tra l’animale e il santo. In sostanza si tratta di provare ad intuire, per quanto possibile, in che modo il leone esprime qualcosa circa la natura dell’evangelista. In questa seconda concezione il simbolo non è un qualcosa di già noto, bensì un’espressione “che è la migliore possibile in un determinato momento della vita di una persona o di un popolo”. Secondo Jung un simbolo è vivo finché è pregno di significato, ma nel momento in cui lo ha dato alla luce, “cioè è stata trovata quell’espressione che formula la cosa ricercata, attesa o presentita ancora meglio del simbolo in uso sino a quel momento il simbolo muore, vale a dire che esso conserva ancora soltanto un valore storico” (Tipi psicologici, pag. 484). Il simbolo vivo per il Maestro svizzero è intimamente collegato con qualche aspetto inconscio, a qualche cosa che sta cercando di emergere. Il riuscire ad entrare in relazione, anche solo parzialmente con questi contenuti nuovi, sottolinea Jung, dipende dall’atteggiamento della coscienza. Se la coscienza è chiusa tenderà per così dire a ridurre a contenuti già conosciuti (il passato, i genitori ect..) ciò che affiora dall’inconscio, per usare le parole di Jung: “Il malato di oggi è fin troppo incline a concepire come sintomo anche ciò che è ricco di significato” (Tipi psicologici, pag. 488). Una coscienza più aperta, invece, assumerà un atteggiamento finalistico verso i prodotti dell’inconscio; per Jung, infatti, è importante sia conoscere da dove viene un prodotto psichico, sia fondamentale cogliere il dove tende, che scopo ha. In altri termini l’Autore zurighese suggerisce, per avere una visione più ampia della psiche, di utilizzare non solo un approccio causale ma anche uno finalistico verso l’inconscio. Facciamo un esempio che permetta di spiegare meglio l’importanza di una visione finalistica nel leggere quanto sta accadendo nella psiche di una persona. Immaginiamo un giovane di 26 anni che riferisce un sogno in cui il padre appare come una persona dispotica e in una luce particolarmente negativa. Il paziente rimane sconvolto perché suo padre nella vita di tutti i giorni è sempre disponibile, pronto ad aiutarlo, è la sua guida. Il terapeuta che utilizza un approccio causale andrà a ricercare nell’infanzia del paziente il perché di un’immagine paterna tanto negativa, mentre un terapeuta con una prospettiva finalistica si domanda come mai l’inconscio faccia emergere un padre diverso da quello che conosce il paziente. Il terapeuta farà notare come evidentemente l’inconscio vuole andare oltre il padre perché c’è forse il rischio che il paziente non cresca mai continuando a lasciarsi guidare dal padre senza assumersi le proprie responsabilità. Per tale ragione il sogno presenta la figura paterna in una luce negativa e non perché il padre non abbia realmente anche le qualità di cui parla il paziente. Si può osservare come la concezione finalistica racchiuda in sé il germe di un nuovo sviluppo, che sarà tuttavia possibile solo se si attribuirà validità sia alle argomentazioni della coscienza che a quelle dell’inconscio. Riconoscere questa doppia validità significa avere una visione molto ampia della psiche, nella quale il centro non è più costituito dalla coscienza, ma dal Sé che un qualcosa di conscio e inconscio allo stesso tempo. Chi ha familiarità con la teoria junghiana, cosa che si può vedere anche nell’esempio appena sopra riportato, sa che Jung attribuisce all’inconscio una funzione di compensazione rispetto alla coscienza. Se l’Io riesce ad aprirsi e a riconoscere le ragioni dell’inconscio, si verrà a creare una situazione di conflitto tra due posizioni entrambe valide. E’ proprio nel momento di conflitto che si attiva la funzione trascendente, in grado di generare un simbolo che permette di procedere oltre con lo sviluppo psichico. E’ nel conflitto e nel contrasto che si può generare qualcosa di nuovo, con la tensione tra gli opposti che viene superata proprio con quel simbolo in grado, come sottolinea l’etimologia stessa della parola (symbolon deriva da symbollein che significa congiungere, tenere insieme, unire), di riunificare. Il vero simbolo è per Jung sempre il risultato della cooperazione fra coscienza e inconscio. Il simbolo riesce tra queste polarità, come Jung ha scritto in Energetica psichica, ad essere un “trasformatore di energia” che fornisce nuovo slancio vitale alla persona. I simboli con questa loro capacità di riunire gli opposti, di andare oltre facendo intravedere nuove direzioni sono basilari ai fini del processo di individuazione, cioè quel lungo e tortuoso e percorso che porta a divenire se stessi. A livello terapeutico è possibile vedere l’effetto dei simboli prendendo in considerazione per un certo periodo di tempo i sogni di una persona. Osservando una lunga sequenza onirica) è possibile vedere come i vari simboli emersi nelle varie situazioni conflittuali fossero legati da un filo comune che pian piano conduce verso il Sé: il vero centro della personalità e paradossalmente anche ciò che ne delimita la sua totalità. Il Sé che può sembrare un concetto astratto si manifesta empiricamente con simboli di totalità come il mandala; con simboli di complexio oppositorum come il Tao, la Croce; con simboli che esprimono una personalità superiore come quella di un eroe o di un re.In ogni caso anche l’elemento più ampio e profondo della personalità si esprime con un simbolo, che è pur sempre il miglior modo possibile per esprimere ciò che non riesce ad essere espresso altrimenti.

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