Ritratto di un Adolescente: Il Giovane Holden

Ritratto di un Adolescente: Il Giovane HoldenIl 16 Luglio del 1951 è stato pubblicato “Il Giovane Holden” di Jerome David Salinger, uno dei capolavori assoluti della letteratura del Novecento. Considerarlo un romanzo di formazione, per quanto la vicenda ruoti intorno all’espulsione scolastica del 17enne omonimo protagonista del romanzo Holden Caulfield che, a seguito di ciò, si ritrova a vagare catturato dal suo caleidoscopio emotivo in una New York pre-natalizia, sarebbe certamente riduttivo.“Il Giovane Holden” pare un affresco dell’adolescenza che mostra un’attualità davvero sorprendente.  Durante la lettura del romanzo si ha quasi l’impressione di vederlo questo diciasettenne ribelle, provocatorio, insolente, a tratti stanco, quasi distrutto, a cui non manca uno spirito saggio, silenziosamente osservatore di ogni particolare, e con un’inclinazione verso l’essere profondo.

Holden, voce narrante del romanzo, ci trascina dentro le sue vicende. Eppure, se riusciamo talvolta a distanziarci un attimo dal racconto, possiamo intravedere una certa ansia, un’inquietudine di fondo, che tocca probabilmente ogni processo adolescenziale: una paura di crescere che si manifesta sotto diverse vesti. Nella sessualità per esempio: “Il sesso è una cosa che davvero fatico a capire. Non sai mai dove vai a sbattere la testa. Io sul sesso continuo a darmi delle regole, per poi infrangerle subito dopo. L’anno scorso mi ero dato la regola che avrei smesso di fare il cretino con le ragazze che in fondo mi stavano sulle palle. L’ho infranta quella settimana stessa. O meglio, quella stessa sera. Ho passato l’intera serata a pomiciare con una certa Anne Louise Sherman.” E’ spaventato da tutto ciò Holden, perché è come se fosse la sessualità ad avere egli e non viceversa. Dominato, quasi ossessionato, dall’idea di dover perdere la verginità una sera decide di incontrare una prostituta sconosciuta. Nel momento in cui scopre che è più o meno una sua coetanea prova improvvisamente una profonda tristezza intrisa di vergogna per il ridurre l’altro ad oggetto. “Ho avuto una sensazione davvero strana, quando se l’è tolto. Nel senso che l’ha fatto così all’improvviso. So che uno dovrebbe sentirsi tutto eccitato, davanti a una che si alza e si sfila il vestito così, ma io no”, scrive disorientato e non riuscendo forse a capire fino in fondo il perché della sua rinuncia alla prestazione concordata. Intuisce vagamente che vorrebbe vivere realmente il mal celato innamoramento verso Jane, suo primo amore, “l’unica che sappia tenere la mano senza che la lasci morire dentro la tua”, ma è intimorito dall’eventuale perdita e dal fatto che la ragazza giusta possa scivolare verso qualcun altro. Nel caso specifico verso Stradlater, compagno di scuola sicuro e pieno di sé. “Penso a quando Stradlater è tornato dalla serata con Jane. Nel senso che non ricordo cosa stavo facendo quando devo aver sentito i suoi stupidi passi in corridoio. Probabile che fossi ancora lì a guardare dalla finestra, ma giuro che non me lo ricordo. Ero troppo preoccupato, ecco perché. Quando sono davvero preoccupato per qualcosa, non riesco a fare nient’altro. Mi viene perfino da andare in bagno, quando sono davvero preoccupato. Solo che non ci vado. Sono troppo preoccupato per andarci. Non voglio interrompere la mia preoccupazione. Se conosceste Stradlter, vi sareste preoccupati anche voi.” E tutto ciò è disorientante, così come lo è più in generale il mondo degli adulti, un mondo che a Holden pare insignificante e pieno di ipocrisia, nel quale tutti sono mossi da interessi personali, legati al successo e alla carriera. Prova a spiegare il suo disagio ad un’altra ragazza, Sally, dicendo come egli trovi inconcepibile che le persone ci tengano tanto alle macchine che non sono neanche umane, ma non viene compreso. Tutto gli appare “borghese”, ma è difficile trovare un’alternativa a tutto ciò. Il povero Holden si ritrova così davanti ad un pensiero terribilmente angosciante: “Io non riesco a trovare niente praticamente in niente. Sono conciato malissimo. Sono conciato da far schifo.”

Dinanzi a tale inquietudine dell’animo, appare decisamente umana la sua voglia di non crescere e la sua latente voglia di stabilità. Emblematica da questa prospettiva la sua preoccupazione per la fine delle anatre in inverno nel momento in cui il laghetto di Central Park  ghiaccia. Non a caso dice che “certe cose dovrebbero rimanere come sono.” Soffre terribilmente Holden, soffre terribilmente lo scorrere inesorabile del tempo che “costringe” a divenire adulti. Fatica a crescere perché gli manca un mondo che gli permetta di conservare un senso di familiarità e del quale sentirsi agevolmente parte. Anche perché la sua famiglia è stata “rotta” dalla morte precoce di suo fratello Allie, più piccolo di due anni ma “cinquanta volte più intelligente.” Sua madre da quel momento non è stata più la stessa, il fratello più grande, scrittore, sì trasferisce ad Hollywood, e con il padre non sembrerebbe che abbia mai avuto un gran rapporto. E’ solo grazie al rapporto con la sorellina più piccola, la “vecchia Phoebe”, che riscopre un senso di appartenenza. Più precisamente, la possibilità di mantenere un legame con il mondo anche se si diventa adulti. Riesce a farlo, Holden, nel momento in cui le racconta quello che vorrebbe fare da grande: “Io mi immagino sempre tutti questi bambini che giocano a qualcosa in un grande campo di segale e via dicendo. Migliaia di bambini, e in giro non c’è nessun altro – nessuno di grande intendo – tranne me, che me ne sto fermo sull’orlo di un precipizio pazzesco. Il mio compito è acchiapparli al volo se si avvicinano troppo, nel senso che se loro si mettono a correre senza guardare dove vanno, io a un certo punto devo saltar fuori e acchiapparli. Non farei altro tutto il giorno. Sarei l’acchiappabambini del campo di segale. So che è da pazzi, ma è l’unica cosa che mi piacerebbe fare davvero.” La vecchia Phoebe, come la chiama il fratello, ha il grande pregio di ascoltare e, per dirla ancora con le parole di Holden, “se almeno ti stanno a sentire, non è così brutto.” Con il suo ascolto e con il suo naturale affetto, Phoebe lo fa desistere dalla sua voglia di fuggire via. Lo convince a restare nel suo mondo, e in Holden si riaccende qualcosa nel momento in cui la accompagna in un parco giochi: Phoebe sale su un giostra per bambini, e lui capisce che non può farlo. Si limita ad aspettarla, ed inizia ad apparire pronto per non essere spaventato dal futuro. E’ pronto per crescere. Ritrova finalmente un senso di appartenenza, paradossalmente, lasciando andare l’infanzia. Ritrova, grazie all’intensa relazione con Phoebe, la possibilità di coniugare continuità e cambiamento nella sua vita. Continuità e cambiamento che scuotano intimamente ogni adolescente.

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