Le Fiabe Viste dalla Psicologia Analitica: il Lavoro di Marie-Louise Von Franz

fiabePrima di parlare dell’enorme lavoro svolto da Marie-Louise Von Franz sull’interpretazione psicologica delle fiabe, mi sembra interessante fermarsi un pochino a riflettere sulla struttura letteraria della fiaba, e vista proprio questa scarna struttura, sul sorprendente successo di cui hanno sempre goduto. Manuela Maddamma, studiosa italiana di filosofia e storia delle dottrine esoteriche e mistiche nell’Europa moderna e contemporanea, osserva che la fiaba in linea di principio non dovrebbe assolutamente coinvolgere: i personaggi non hanno storia, ci si innamora e ci si combatte senza dei perché, la natura è antropomorfizzata e gli animali spesso parlano. La fiaba è molto lontana dal romanzo, dotato di una struttura spazio temporale più delineata e composto da personaggi molto più scanditi, e quindi per logica dovrebbe interessare, ma nemmeno più di tanto, un pubblico molto infantile. Invece non è affatto così. Non a caso, sostiene Madamma, per quanto le prime raccolte scritte di fiabe siano piuttosto “recenti”, con i lavori di Giambattista Basile e di Perrault nel seicento, le fiabe nella tradizione orale esistono da sempre e sono presenti nei più svariati angoli di mondo. Inoltre non si può dimenticare l’evenienza che numerosi scrittori di primissimo piano, contemporanei e non, si sono dedicati alle fiabe. Tra i più celebri ricordiamo, appena di passaggio, Shakespeare, Chaucer, Mallory, Spenser, Pope, Milton, Blake, Keats, Yeats, fino ad arrivare a Tolkien.
Madamma spiega, ne l’introduzione di “Le fiabe di ogni tempo e paese”, che la ragione della popolarità di questo genere letterario sta nel fatto che costituiscono un “puro distillato di esperienze”. In altre parole, le fiabe parlano di problemi che possono riguardare tutta l’umanità. A dimostrazione del linguaggio universale che “parlano” le fiabe, si consideri quanto scrive in una lettera del 1812 Jacob Grimm all’amico Achim von Arnim: “Sono fermamente convinto che tutte le fiabe della nostra raccolta, con tutte le loro particolarità, venivano narrate già millenni fa … in questo senso tutte le fiabe si sono codificate come sono da lunghissimo tempo, mentre si spostano di qua e di là in infinite variazioni … tali variazioni sono come i molteplici dialetti di una lingua e come quelli non devono subire forzature”. In sostanza è come se le fiabe dei vari paesi fossero delle sfaccettature dello stesso cristallo: un cristallo che appartiene a tutti.
Ne “L’uomo e i suoi simboli” (1961) Jung definisce l’archetipo con queste parole: “L’archetipo è la tendenza a formare le rappresentazioni di uno stesso motivo che, pur nelle loro variazioni individuali anche sensibili, continuano a derivare dallo stesso motivo fondamentalela loro origine è ignota e si riproducono in ogni tempo e in qualunque parte del mondo, anche laddove bisogna escludere qualsiasi fattore di trasmissione ereditaria diretta o per incrocio”. Se rileggiamo con attenzione la definizione che Jung ci fornisce di archetipo, e la paragoniamo a quanto sostiene Jacob Grimm nella sua lettera all’amico Von Arnim, possiamo tranquillamente affermare che il rapporto tra fiabe e psicologia analitica non può che essere naturalmente molto stretto.
Questa possibilità non è sfuggita allo stesso Jung, il quale ebbe modo di affermare che le fiabe permettono di studiare al meglio l’anatomia comparata della psiche: esse sono infatti l’espressione più pura dei processi psichici dell’inconscio collettivo e rappresentano gli archetipi in forma semplice e concisa (In Von Franz 1980), perché, a differenza del mito che risente della presenza di elementi culturali, le fiabe sgorgano direttamente dagli strati più profondi e arcaici della psiche. Per quanto Jung fosse ben conscio dell’intimo legame tra fiabe e psicologia analitica, personalmente non se ne è occupato moltissimo.
Certamente chi ha dedicato tantissimo tempo ed energia allo studio delle fiabe è stata Marie-Louise Von Franz, autrice di ben cinque splendidi libri sul tema. Leggendo il complesso degli scritti della Von Franz sulle fiabe, si nota che di volta in volta tende ad analizzarle da 3 diversi livelli.
Ad un primo livello di analisi Von Franz considera le fiabe alla stregua di un sogno: non diversamente dal sogno, la fiaba è una rappresentazione simbolica di un determinato problema. Come un sogno, la fiaba è fatta di una trama, di personaggi che hanno una qualche relazione tra loro, e di simboli. I simboli di una fiaba debbono, per essere interpretati, essere amplificati. Cioè il significato simbolico di una fiaba può essere colto attraverso il confronto tra le immagini simboliche presenti nella fiaba e paralleli mitologici e storici che sviluppano e “trattano” la stessa immagine. Fare ciò permette di individuare il significato più ampio di un simbolo e fornisce un metodo che consente di “tradurre” la fiaba in un’interpretazione psicologica che ha una sua coerenza interna. Tale metodo di amplificazione, come ben sa chi ha una certa familiarità con l’analisi dei sogni, viene talvolta utilizzato per lavorare terapeuticamente con un sogno. Inoltre, la fiaba si presta bene, non diversamente dal sogno, ad un’interpretazione soggettiva. Cioè, così come le varie figure di un sogno possono essere considerate lati del sognatore, i vari personaggi di una fiaba possono essere considerati tratti della personalità dell’eroe. Per esempio, quando in una fiaba una donna incontra una strega incontra anche i suoi lati stregoneschi.
Ad un livello più ampio di analisi Von Franz ritiene la fiaba una compensazione inconscia dei valori dominanti presenti in una determinata cultura e società. Questa affermazione, che può sembrare piuttosto astrusa, diviene molto più facilmente comprensibile se mi si permette di ricorrere ad un esempio. Nel suo libro “L’Individuazione nella fiaba” l’autrice racconta una fiaba persiana, Il segreto del Bagno di Badgerd, in cui il protagonista Hatim, eroe del folclore persiano, deve compiere un’impresa particolare, che brevemente riassumo e semplifico. Hatim su incarico della regina Husn Banu deve scoprire il segreto del Bagno di Badgerd, parola quest’ultima che se tradotta letteralmente vuol dire “Castello del Nulla”. Hatim deve quindi recarsi in questo Castello del Nulla e scoprirne il segreto, impresa in cui tutti i suoi predecessori sono falliti. Dopo mille peripizie Hatim scopre che Gayomard aveva trovato un diamante così prezioso, che per difenderlo dalla cupidigia degli uomini, fu costretto ad architettare incantesimi e sortilegi di ogni sorta che nel complesso formano il Bagno Segreto. Dopo aver superato numerose e tortuose prove, Hatim si trova dinanzi all’ultimo ostacolo della sua impresa: deve colpire con una freccia il cuore di un pappagallo bianco, in caso di fallimento rimarrà pietrificato. La storia termina con il successo di Hatim e con il pappagallo che una volta colpito si trasforma nel preziosissimo diamante nascosto da Gayomard.
Secondo Von Franz questo racconto vuol compensare una certa tendenza della cultura islamica a vivere la religione in maniera pappagallesca. Da questo punto di vista l’uccisione del pappagallo e la conquista del diamante suggeriscono sia la necessità di sacrificare questo modo meccanico e ripetitivo di vivere l’esperienza religiosa, sia la necessità di aprirsi al trascendente in maniera più genuina e spontanea, se ci si vuole realmente arricchire spiritualmente nel vivere l’esperienza religiosa.
Ad un livello ancora più profondo di analisi Von Franz ritiene che quasi tutte le fiabe ruotino intorno al tentativo di descrivere metaforicamente il processo di individuazione, o meglio il  processo di incarnazione del Sé. Testualmente scrive ne “Le fiabe interpretate”: Dopo aver lavorato per molti anni in questo campo, sono giunta alla conclusione che tutte le fiabe mirano a descrivere un solo evento psichico, sempre identico, ma di tale complessità, di così vasta portata, e così difficilmente riconoscibile da noi in tutti i suoi diversi aspetti, che occorrono centinaia di fiabe e migliaia di versioni, paragonabili alle variazioni di un tema musicale, perché questo evento penetri alla coscienza (e neppure così il tema è esaurito). Questo fattore sconosciuto è ciò che Jung definisce il Sé. Esso costituisce la totalità psichica dell’individuo” (Von Franz, pag. 2, 1980). Come noto dagli studi di Jung, la totalità psichica tende a manifestarsi con una struttura quaternaria. Von Franz sottolinea come molte fiabe presentino all’inizio una struttura quaternaria che alla fine della fiaba ritroviamo in una forma più evoluta. L’esempio usuale di quaternità iniziale in una fiaba è rappresentato da un re con tre figli maschi, oppure da re e regina con altre due figure: ma queste forme di quaternità, di totalità psichica, per qualche ragione non permettono più il buon funzionamento del regno, così’ l’eroe deve compiere qualche impresa particolare che permetta il rinnovamento della quaternità iniziale. Non a caso moltissime fiabe terminano con un matrimonio e/o con l’ascesa al trono di un nuovo re, eventi che sanciscono la nuova totalità.
In ambito psicoterapeutico la Von Franz utilizza, se così si può dire, le fiabe in maniera “ indiretta”. Tende più che altro ad usarle per amplificare un sogno che necessità di essere amplificato, o per far notare ad un paziente che l’umanità molte volte ha affrontato un certo problema e che la fiaba rappresenta un possibile modo per approcciarsi al problema stesso. In “L’Ombra e il Male nella fiaba” scrive a tal proposito: “Considero le fiabe modelli archetipici del comportamento umano e allo stesso tempo il migliore degli strumenti per chiarire certi problemi psicologici” (Von Franz, 1995, pag. 7).
L’interesse della Von Franz per le fiabe è stato principalmente a livello di studio: “Per l’indagine scientifica dell’inconscio esse valgono più d’ogni altro materiale…In questa forma così pura, le immagini archetipiche ci offrono i migliori indizi per comprendere i processi che si svolgono nella psiche collettiva” (Von Franz, 1980, pag. 1).

Mi piace concludere questo breve articolo sul lavoro della Von Franz con le fiabe, lasciando dire alla stessa autrice il perché, al di la dell’interesse per le fiabe legato allo studio dei processi dell’inconscio collettivo, di tanta abnegazione nel dedicarsi a questo tema: “Il motivo che ci spinge a interpretare (le fiabe)è lo stesso che muoveva a raccontare fiabe e miti, e cioè l’effetto vivificante che se ne trae, la reazione benefica così provocata, la pace con il substrato inconscio istintivo così raggiunta” (Von Franz,1980, pag.40).

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