Senso di Colpa e Senso di Completezza

Senso di colpaUna delle grandi lezioni della psicoanalisi è stata quella di porre l’origine del senso di colpa in relazione alle primordiali pulsioni aggressive del bambino verso uno dei due genitori. In Freud, e in misura ancora maggiore nel lavoro di Melanie Klein, tale legame è molto evidente. Se per Freud infatti il senso di colpa è da collegare alla rivalità che il bambino nutre verso il genitore dello stesso sesso durante la fase edipica, e proprio grazie ad esso riuscirà a superare tale momento cruciale dello sviluppo perché favorirà di li a breve un’identificazione con il genitore dello stesso sesso; per la Klein esso è invece qualcosa di presente fin dalle primissime settimane di vita del bambino. Per questa acuta osservatrice delle fantasie infantili inconsce, il bambino avverte talvolta un’aggressività verso la madre legata al suo essere assente o al suo non dare, o poter dare, soddisfazione immediata ai propri bisogni. Ma ancora, argomenta la Klein il bambino non conosce il senso di colpa, perché per egli è come se esistessero due madri, una buona fonte di gratificazione, ed una cattiva fonte di frustrazione. Nel momento in cui l’infante realizza che si tratta di una figura unica, fa esperienza del vissuto della colpa. Senso di colpa che, sempre secondo la Klein, per l’infante da luogo alla necessità di riparare eventuali danni causati dalla sua stessa aggressività a sua madre, figura adesso per lo più percepita, almeno nella maggior parte dei casi, come prevalentemente buona e fonte di vita per il bambino. Queste teorie hanno l’ampio merito di far notare come il senso di colpa possa agire al pari di un meccanismo psichico capace di fornire un “contenimento” e una direzione positiva a pulsioni altrimenti aggressive che potrebbero sfociare verso pericolose devianze. In altre parole, il senso di colpa può agire come un regolatore del comportamento. Se ci fermiamo un attimo ad osservare, possiamo constatare come tale meccanismo psichico sia rintracciabile facilmente anche in alcuni comportamenti della vita adulta. Talvolta, per esempio, un uomo adulto non si tuffa completamente nel gioco per il timore di danneggiare, anche economicamente, i propri cari; oppure si noti come taluni tradimenti in amore non vengano “consumati” per il senso di colpa verso il/la partner; oppure ancora si pensi a come molti studenti universitari sarebbero meno ligi verso l’università, se non fossero sospinti verso lo studio dal senso di colpa verso i genitori, i quali stanno magari producendo sforzi non indifferenti per il conseguimento della loro laurea.
Eppure, sempre più frequentemente nel setting analitico, giungono ad osservazione persone attraversate da un senso di colpa ben diverso dal classico senso di colpa riparativo così ben raccontato dalla psicoanalisi freudiana e post freudiana. Si tratta di persone capaci di autoregolarsi, spesso ben realizzate familiarmente e professionalmente nella vita, ben abituate a trovare altre motivazioni alle loro condotte che non siano legate alla tematica della colpa. Eppure, tali persone avvertono una certa tonalità di colpa, come se nella vita avessero fatto poco, o meglio, vissuto poco alcuni lati della loro personalità. Un senso di colpa non dovuto ad onnipotenza, bensì ad un senso di mancanza, una mancata completezza verso cui l’uomo probabilmente aspira. Un senso di colpa, potremmo dire, esistenziale. Una sorta di colpa rispetto al proprio sentire etico. Illuminante, da questa prospettiva, il racconto di Joseph Roth “La leggenda del santo Bevitore”. Il protagonista della vicenda, Andreas Kartak, dopo un periodo di prigionia dovuto ad un omicidio compiuto per amore, vive sotto i ponti parigini. Un giorno un ricco signore gli propone, con inaspettata generosità, di accettare 200 franchi. Kartak accetta solo dopo aver discusso del come e del dove può restituire la somma. Gesto nobile di Kartak, ma non per un senso di colpa connesso al poter danneggiare il ricco benefattore, o per riparare la sua vita precedente. Anzi, rispetto a quest’ultima potrebbe tranquillamente ritenersi in credito, ma perché spinto dalla propria etica. In Andreas è insito un senso di colpa dovuto ad un eventuale non seguire il proprio sentire interiore. Nelle settimane intercorse tra l’incontro con l’insolito benefattore e il momento della restituzione dei 200 franchi, Andreas incontra vecchi amici, vecchi amori, ritrova emozioni, ricordi, e riesce a “riconoscersi” come persona. Spinto dal suo senso di colpa legato a ragioni intrinsicamente etiche, si avvicina a realizzare in sé una certa sintesi e un certo senso di completezza. Leggendo il racconto è come si avesse la sensazione che il Kartak debba in qualche modo completare il cerchio della propria vita per poterle dare un senso. Giorgio Manacorda, critico letterario e scrittore contemporaneo, in un’introduzione al racconto citato definisce Roth lo scrittore del “vuoto” perché i suoi protagonisti finiscono con il trovarsi in una “terra di nessuno” che è anche uno “spazio mentale”. Terra e spazio che finiscono con l’attivare un vissuto di colpa rispetto alla propria esistenza, capace di generare la ricerca di un senso e di un qualcosa di più ampio che difficilmente riusciamo a definire. Terra e spazio che possiamo intravedere anche in alcuni pazienti che sembrerebbero avere delle vite in cui non manca nulla.
Nel suo ampio lavoro, Carl Gustav Jung, sostiene che l’uomo è animato da una pulsione interna volta a cercare di realizzare la propria totalità, che è un qualcosa di assimilabile non alla perfezione, bensì alla completezza. Perché, dice sempre Jung, la completezza approda alla vita, e le conferisce pienezza e vitalità. Vitalità e vita che, paradossalmente, possono trovare un motore in quella sfumatura di senso di colpa che si lascia intravedere nel momento in cui si ha la percezione soggettiva che si potrebbe fare di più rispetto alla propria ricerca di una completezza.

×
Menù