Razionalità Causale e Sincronicità

Nel suo amplio e splendido lavoro teorico clinico, Carl Gustav Jung si è più volte soffermato sull’importanza centrale del possibile ruolo che la coscienza può giocare rispetto alle potenzialità insite nell’uomo di realizzare una vita piena e avvertita come dotata di senso e significato. Nella sua autobiografia, la considera dapprima quella piccola ma importantissima lanterna contro vento che evita, in alcuni momenti, che ci sia un buio totale; poi quel fattore che diviene “il secondo creatore del mondo”, ovvero quell’elemento che riconosce a quanto ci circonda l’avere, per alcuni versi, un’esistenza obiettiva.

Nel suo amplio e splendido lavoro teorico clinico, Carl Gustav Jung si è più volte soffermato sull’importanza centrale del possibile ruolo che la coscienza può giocare rispetto alle potenzialità insite nell’uomo di realizzare una vita piena e avvertita come dotata di senso e significato. Nella sua autobiografia, la considera dapprima quella piccola ma importantissima lanterna contro vento che evita, in alcuni momenti, che ci sia un buio totale; poi quel fattore che diviene “il secondo creatore del mondo”, ovvero quell’elemento che riconosce a quanto ci circonda l’avere, per alcuni versi, un’esistenza obiettiva. Su un piano più teorico, in “Risposta a Giobbe” – uno dei testi che il grande studioso svizzero aveva più a cuore – ritiene che essa agisca come un piccolo specchio umano capace di aiutare la divinità a vedersi e quindi ad evolversi. In altre parole, come scrive nel seminario sulle “Visioni” di Christiana Morgan, ciò che rende un uomo veramente umano “è il conseguimento della coscienza”. Altresì non dimentica mai, con saggia prudenza, di ricordare come essa, la coscienza, possa rivelarsi pericolosa per via della sua intrinseca tendenza a voler ottenere sempre di più, aspetto quest’ultimo che la conduce spesso a peccare di hybris. Più precisamente, osserva come l’hybris contemporanea possa manifestarsi soprattutto per mezzo di un certo eccesso di razionalità che sembrerebbe caratterizzare l’uomo moderno, il quale di fatto – rileva sempre Jung – si ritrova non di rado disorientato e spaesato proprio per via della sua difficoltà nell’accettare fino in fondo il suo non poter far poggiare la vita psichica esclusivamente sulla coscienza, poiché quest’ultima – anche se talvolta si nutre di autoreferenzialità e di pretese titaniche – rimane pur sempre limitata rispetto a quel mistero che chiamiamo vita.

Calando questo discorso sul singolo, possiamo dire che la coscienza individuale pecchi di hybris nel momento in cui ritiene di essere in grado di poter spiegare ogni aspetto dell’esistenza, e/o quando crede di essere perfettamente oggettiva, trascurando così il come essa risenta del più generale spirito del tempo che attraversa la società in cui è inserita. E siccome lo spirito del tempo, la coscienza collettiva e sociale contemporanea, esalta l’essere produttivi e efficienti, enfatizza l’agire per uno scopo specifico, sottolinea il dover raggiungere velocemente sempre un certo risultato, celebra i vincenti e il successo e il denaro, si finisce con l’avere una coscienza individuale che, se non cerca di esercitare un pensiero critico su questi aspetti, ne risulta dominata. Estremizzando in maniera un pochino provocatoria, possiamo azzardarci a dire che la coscienza individuale si avvicina ad agire come le tante macchine razionali che ci circondano. A ben vedere, un modo di approcciarsi alla realtà che corre il pericolo di svalutare tutto quanto non è produttivo, immediatamente utilizzabile in termini pratici, e in apparenza non razionale. Tante volte, quando ci si dedica ad un qualcosa che non ha uno scopo specifico, ci si sente rivolgere la domanda “ma a cosa serve?”. Questo “ma a cosa serve?”, detto per lo più con un tono scettico, può riguardare il fare una passeggiata, un viaggio, una certa vacanza, un’attività creativa come il dipingere o lo scolpire o lo scrivere, e potenzialmente rischia di estendersi ad ogni scelta che coinvolge la soggettività di una persona. Un brevissimo esempio: a scuola viene assegnato un tema, lo studente lo realizza con ChatGPT e prende un voto altissimo, un nove o un dieci. Raggiunge in sostanza un risultato che senza ChatGPT non avrebbe visto che da lontano, da lì a chiedersi a cosa possa mai servire il suo impegno verso il tema assegnato, visto che ricorrendo all’utilizzo dell’intelligenza artificiale ottiene ben altri risultati, il passo sarà inevitabilmente breve. Naturalmente, va da sé – e onestamente bisognerebbe riconoscere che questo è un rischio che può riguardare chiunque, adulti compresi – che la possibilità che opti per il suo uso anche in occasioni future è molto alta. Il problema è però che nel tema doveva, dovrebbe, esserci lui, il suo pensiero, il suo cuore, le sue emozioni, le sue opinioni in formazione, le sue paure, le sue speranze, invece di tutto ciò non vi è traccia. In brutale sintesi, per ottenere il massimo, per stare in alto, per essere produttivo, il nostro adolescente ha sacrificato sé stesso. Tornando così alla nostra domanda “ma a cosa serve?” possiamo capire meglio come questa sua impronta votata alla produzione e all’efficienza rischi di incenerire ciò che invece è fonte di vitalità e crescita, e questo a prescindere dall’età.

Se lo scenario descritto è verosimile, non possiamo esimerci dal chiederci in che modi possiamo arginare il rischio di un eccessivo potere della razionalità. Per tentare di rispondere, potremmo partire dal cominciare con il prestare più attenzione a quanto non proviene dall’usuale elaborazione cosciente. Per esempio, cercando di capire i sogni, i quali, in genere, puntano i riflettori sul poco visto di una determinata situazione e/o su un certo atteggiamento del sognatore verso quella stessa determinata situazione; oppure, almeno talvolta, mettendo da parte la sola logica causale, cioè la causa A ha determinato l’evento B, per cercare di comprendere quanto accade e ci circonda, in modo da lasciare spazio ad una lettura più circolare degli eventi. Un piccolo esempio su quest’ultimo punto: un uomo sulla cinquantina sta viaggiando in macchina di notte, un uccellino, senza che se ne accorga o abbia il tempo di fare qualcosa, gli impatta contro. La mattina seguente prende ancora la macchina e si imbatte in un piccione che rischia di investire, perché il volatile, anziché volare, cammina per strada. Per fortuna, almeno nella seconda occasione, ha tutto il tempo per frenare. Un’ottica causale direbbe che l’uccellino è stato investito perché volava basso, ed aggiungerebbe che il secondo, per lo stesso motivo, ha rischiato una fine analoga. Una visione più circolare, senza svalutare necessariamente l’angolazione causale, noterebbe anche questa curiosa coincidenza di due uccellini che volano bassi e sarebbe portata a chiedersi se essa – Jung a tal proposito parlerebbe di sincronicità – possa avere un significato e un senso rispetto alla vita della persona che l’ha vissuta. Per essere più precisi, questi due eventi simili – gli uccellini che volano bassi – dicono qualcosa sul nostro cinquantenne? Può darsi di no, potrebbero essere state solo casualità, può darsi pure, però, che dicano qualcosa su quest’uomo: e se stesse volando troppo basso? Se, troppo impegnato in questioni pratiche e lavorative concrete, avesse smarrito lo spirito di volare in alto che un tempo lo caratterizzava? In altre parole, potrebbe scoprire una certa corrispondenza tra qualche suo stato interiore e queste coincidenze esterne.

Quello che in questo contesto preme sottolineare, al di là del voler stabilire se nel nostro esempio specifico queste coincidenze abbiano un senso oppure no, è che il riuscire a coltivare e ad affiancare alla sola logica causale anche una forma di logica più circolare nel leggere di quanto accade facilita un’apertura verso la vita, verso il coglierne, per alcuni versi, la sua imprevedibilità e la sua bellezza. Da questa prospettiva, una lettura, quando possibile, sincronistica degli eventi, in cui ci si domanda se curiose coincidenze abbiano una qualche relazione di senso con chi ci si imbatte, costituisce una fondamentale integrazione di una razionalità strettamente causale, poiché quest’ultima, se portata agli estremi e lasciata sola, rischia di tramutarsi da strumento di comprensione di sé e del mondo in un qualcosa che genera chiusura verso la vita. Troppe idee e azioni rischiano di cadere sotto la sua pesante scure, implicita nella domanda “ma a cosa serve?”, che a livello psicologico, a ben vedere, certamente non possiamo permetterci. Per fortuna, esistono anche altre possibilità, come appunto i sogni e la lettura sincronistica di alcuni eventi, e non considerarle, questo sì, sarebbe davvero poco razionale: in fin conti, una ferrea e rigida razionalità che finisce con l’impoverire la vita è davvero così razionale?

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