La Paura di Guidare

In ambito clinico è di uso comune ricorrere al termine “Amaxofobia”, derivante dal greco “amaxos” traducibile con carro, per designare la fobia di guidare un’automobile. Tale comportamento fobico si manifesta, o con la totale rinuncia alla guida, o con il riuscire a guidare, sia pure con una certa difficoltà, solo in presenza di specifiche condizioni esterne.
Talvolta l’amaxofobia insorge in seguito a incidenti stradali, che fungono da evento traumatico scatenante, ma il più delle volte è di origine non traumatica. In questo breve articolo ci occuperemo di questa seconda classe di persone afferrate dalla cosiddetta paura di guidare. Potrebbe apparire piuttosto ozioso occuparsi di una problematica del genere, ma a ben vedere tale fobia condiziona l’esistenza di chi ne è colpito in maniera più ampia di quanto a prima vista possa sembrare. La fobia di guidare influenza negativamente la qualità di vita di un individuo, in quanto ne limita l’autonomia personale. In linea generale, questa limitazione dell’autonomia e della libertà di movimento della persona porta a compiere scelte che puntano più ad evitare il disagio della guida, piuttosto che a scegliere ciò che potrebbe costituire una possibilità esistenziale importante. Spesso la persona amaxofobica assiste sfiduciata al suo impoverimento relazionale e talvolta economico, causato dalla rinuncia ad attività che implicano la necessità di doversi muovere con un’automobile: in alcune occasioni si lascia sfumare un possibile lavoro, altre volte vengono sacrificate attività sociali e interpersonali che possono incrinare amicizie, svaghi, interessi.

Nei casi in cui l’azione del guidare è completamente assente, l’amaxofobia tende sia a concretizzarsi con la rinuncia preventiva a conseguire la patente o con una reiterata bocciatura ai test per ottenere la stessa, sia con l’impossibilità di mitigare la paura stessa del guidare. Nelle persone che invece non hanno del tutto abbandonato l’idea di guidare, questo rapporto problematico con la guida può manifestarsi in modi piuttosto diversi: c’è chi è impossibilitato a guidare senza una determinata presenza specifica al proprio fianco; chi riesce a farlo solo di giorno, ma non di notte; c’è chi si sente incapace a percorrere strade scorrevoli, quali per esempio le autostrade; c’è chi non può attraversare luoghi specifici, quali ponti o gallerie; chi non può distanziarsi oltre una certa misura da casa.

Il fatto che il guidare, o anche il fantasticare se stessi alla guida, dia molte volte luogo a sintomi quali iperventilazione, tachicardia, sensazione di “testa vuota”, nausea, colite e simili, induce a pensare che l’amaxofobia possa essere la punta dell’iceberg di tematiche inerenti l’ansia.

Guardando con un occhio più clinico i contesti nei quali alcune persone manifestano la loro paura di guidare, si può notare meglio la relazione che l’amaxofobia intrattiene con l’ansia: echeggia il tema dell’ansia da separazione nel momento in cui si è spaventati dal guidare da soli o si teme di doversi allontanare eccessivamente da casa; si intravede claustrofobia nelle circostanze in cui è necessario poter guidare solo evitando gallerie ed altri luoghi “chiusi”; si può immaginare una certa quota di ansia generalizzata nel momento in cui si teme il guidare in occasioni meno controllate, come di notte o in strada veloci; si può ipotizzare agorafobia allor quando non si può passare per vie, quali ponti o gallerie, che non offrono un riparo e una via di fuga.

Le categorie di persone maggiormente colpite da questa condizione sono tre: giovani adulti che vogliono crescere, trovare la loro identità, ma allo stesso tempo ne sono molto spaventati; donne che non riescono a credere nelle loro possibilità di emancipazione; persone anziane che temono l’invecchiare e vivono male questa fase della vita. L’evenienza che la difficoltà di guidare riguardi in particolare certe “classi” di persone, lascia pensare che quell’insieme di tratti specifici sopra citati, quali l’ansia da separazione, la claustrofobia, l’ansia generalizzata, l’agorafobia, nascondano un più generale conflitto presente nel singolo individuo tra la dimensione psichica dell’autonomia e quella della dipendenza. Nel lavoro terapeutico con questi pazienti, molte volte, emerge una certa ambivalenza sia verso l’autonomia, sia verso la dipendenza. Ovviamente ogni caso di conflitto tra autonomia e dipendenza è un caso a sé, perché è intimamente legato alla storia unica della singola persona che vive su di sé quel conflitto, ma, a scopo divulgativo, facciamo qualche piccolo esempio tratto dalla pratica quotidiana. Proviamo ad immaginare un giovane adulto, anche dotato di un certo talento, alla sua prima esperienza lavorativa dopo gli studi: potrebbe essere attratto dalla prospettiva di uscire di casa, ma la condizione lavorativa è frustrante e precaria, e, viste le prospettive contemporanee, non è detto che la propria occupazione possa divenire più gratificante a breve. Lasciare casa potrebbe voler significare la rinuncia a tante comodità offerte dai genitori, e soprattutto potrebbe porre dinanzi ad un certo smarrimento legato al timore che, così facendo, ci sia avvii verso una definizione più precisa della propria identità che potrebbe essere vissuta come una camicia di forza. Quasi come se si dovesse procedere necessariamente in avanti nella vita, ma in una fase esistenziale in cui tanti fantasmi affollano la mente sulla strada percorsa sino ad ora. E in mezzo a tutta questa incertezza talvolta prevale un fermarsi a vivere solo il presente. In un certo senso perché entrambe le opzioni, sia quella del divenire più autonomo e del continuare a crescere non si sa bene verso quale direzione, sia quella di conservare una certa dipendenza, non soddisfano appieno. Oppure pensiamo ad una donna che, anche a causa della nostra disorganizzazione sociale, è costretta a dover capire, quasi a dover scegliere con un’ottica di esclusione, se puntare più sulla formazione di una propria famiglia, o sulla carriera lavorativa. Scegliendo la famiglia potrebbe dover dipendere dal partner o dai propri genitori, scegliendo di seguire maggiormente una realizzazione professionale potrebbe essere a tal punto autonoma da sentirsi sola. Oppure pensiamo all’anziano che vorrebbe potersi “appoggiare” a qualche familiare più giovane, ma che potrebbe vivere il tutto come una perdita di dignità personale e come una sconfitta che ne sancisce l’inevitabile declino. In tutti questi casi pare di essere dinanzi a situazioni in cui le persone hanno difficoltà a “guidare” la loro vita, difficoltà che talvolta esprimono simbolicamente con lo sviluppare concretamente il timore di guidare un’automobile. Semplificando, si può dire che la paura di guidare è una spia che segnala la difficoltà nel prendere la vita tra le proprie mani. In termini junghiani, potremmo descrivere questa difficoltà nel guidare la propria vita, parlando di una difficoltà nel proprio processo di individuazione, ovverosia rispetto a quel percorso di ascolto e di attenzione alle varie parti di se stessi che permette di maturare pienamente la propria individualità, individualità che non può non passare anche attraverso un rapporto ben equilibrato tra autonomia e dipendenza. E’ come se tale processo, quello individuativo, fosse un po’ arenato. E in tutto ciò, un buon percorso psicologico, capace di relazionarsi ad ogni individuo tenendone in considerazione la soggettività specifica di cui è portatore, può essere di aiuto nel far ripartire quel cammino che conduce ad uno sviluppo più ampio della propria individualità.

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